Quando gli spazi ci parlano (anche con una lampadina)
- silvina50100
- 2 giorni fa
- Tempo di lettura: 3 min
C’è una lampadina, appesa al muro, senza paralume.
Una di quelle provvisorie, messe al volo durante un trasloco o una ristrutturazione, in attesa di essere sostituita. Eppure, è lì da settimane. Da mesi. Forse da anni. Quasi non ci fai più caso. Ma ogni tanto la guardi, e qualcosa dentro si attiva.
Quella lampadina potrebbe raccontare molto più di quanto immagini.
Potrebbe parlare di stanchezza. Di un cambiamento appena vissuto che ha lasciato una scia di disordine interiore. Potrebbe raccontare la difficoltà di chiudere un ciclo, o la fatica di ricominciare. Potrebbe rappresentare quella fase della vita in cui si resta in bilico tra ciò che era e ciò che verrà. Quella lampadina ci può aiutare se invece di giudicare facciamo sì che ci aiuti a riflettere, a osservare noi stessi e noi stesse e il momento che viviamo.
Abbiamo esplorato tutto questo durante il quarto salotto di Ambient Therapy, dedicato agli spazi in transizione. Un appuntamento che tengo insieme alla psicologa Veronica Siragusano, dove architettura e psicologia si intrecciano per guardare lo spazio come specchio e come alleato.
Spazi che restano indietro
Succede più spesso di quanto pensiamo: la nostra vita cambia, ma gli spazi no. Restano fermi, legati a un’identità passata che non ci rappresenta più. E questo crea uno scarto. A volte sottile. Altre volte doloroso.
C’è la stanza degli scatoloni mai svuotati. Il comodino che apparteneva a un’altra fase della vita. Il tappeto comprato “tanto per”, che ora non ci somiglia affatto. O ancora, la poltrona messa in un angolo per abitudine, che ora sembra diventata invisibile, o appoggia cose.
Tutti segnali. Tutti messaggi, se impariamo ad osservarli e ascoltarli.
L’ambiente influenza la mente (e viceversa)
Le neuroscienze lo confermano: l’ambiente fisico influenza il nostro stato emotivo più di quanto siamo abituati a pensare.
Uno spazio disordinato può aumentare l’ansia. Non aiuta certo alla chiarezza mentale.
Una casa che non evolve con noi può diventare un freno invisibile.
Ma anche il contrario: un piccolo cambiamento nello spazio può attivare nuove energie, nuovi sguardi, nuovi desideri.
Per questo nel nostro lavoro utilizziamo strumenti come il Test del Benessere Inconscio e tecniche di progettazione empatica, descrivere il proprio ambiente aiuta a conoscere se stesse/i, aiuta le persone a riconoscere quei segnali, e a trasformarli in occasioni di cura.
Dare un nome al cambiamento
Durante il salotto, ci siamo confrontate (eravamo tutte donne!) su tanti esempi concreti. C’è chi ha raccontato di sentire familiare la lampadina appesa. Chi ha parlato di una stanza piena di oggetti che rimandano a un periodo passato fermo in un tempo. Chi ha riconosciuto che certi oggetti sono parte di una ritualità che ci fa sentire casa.
Ogni spazio invece che ci provoca disagio, fastidio o indifferenza, può essere un indizio. Non da interpretare in modo rigido, ma da accogliere.
A volte basta basta mettere ordine aggiungendo un nuovo oggetto che rappresenta il momento. A volte serve riconoscere gli oggetti che non ci rappresentano più e lasciarli andare. A volte portare i colori che mancano.
La cosa importante è iniziare a vedere. A nominare. A sentire.
Lasciarsi aiutare dallo spazio
Un ambiente che evolve insieme a noi può diventare un alleato prezioso. Può accompagnare il cambiamento, renderlo più dolce, più consapevole.
Perché, come diciamo spesso nei salotti, “lo spazio è una seconda pelle”. E quando la pelle cambia, anche lo spazio ha bisogno di evolvere.
La lampadina senza paralume, allora, non è un errore. È un invito. Una piccola soglia. Un simbolo, forse, che ci sta chiedendo: dove vuoi andare?
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A volte, per iniziare a cambiare, basta accendere la luce giusta.






